Il Costume Ampezzano

Il costume in Ampezzo è riuscito a sopravvivere, senza soluzione di continuità, per circa duecento anni nonostante i profondi radicali cambiamenti che la Valle ha subito specialmente negli ultimi decenni.

Molte donne in ampezzo indossano ancora, seppur con qualche piccolissima variazione che nulla toglie all’essenza del costume, il vestito elaborato dalle loro antenate, rimanendo fedeli alle tradizioni e alle regole tramandate di generazione in generazione.

Esistono quattro tipologie di costumi femminili e due maschili.
Se il costume femminile più antico, detto a “ra vècia”, trae le proprie forme dall’abbigliamento nobiliare austriaco del XVIII secolo, la sua evoluzione nel costume “ra màgnes”, abito delle grandi occasioni, è evidentemente legata

agli influssi della moda della metà dell’Ottocento, così come il costume invernale “ra jàida” mostra nella foggia della propria giacca una notevole somiglianza con quella dell’abito tailleur degli anni Settanta del XIX secolo; il costume “ra varnàza” sopperisce invece alla semplicità delle fogge con un tripudio di colori che ne sottolineano l’utilizzo prettamente primaverile, al contrario degli ultimi due, caratterizzati da una evidente austerità accentuata dal predominio del nero.

Differente è invece la storia del costume ampezzano maschile, anch’esso originatosi da fogge di tipo settecentesco, marginale presenza nella vita degli uomini d’Ampezzo, per la maggior parte abbigliati secondo la moda dell’epoca.

Filigrana

Purtroppo non esistono informazioni precise circa gli inizia della filigrana a Cortina e la documentazione è piuttosto scarna. Giocano un ruolo fondamentale le notizie trasmesse oralmente dai pochi intenditori e collezionisti, che intendono salvaguardare questa preziosa eredità della tradizione e storia ampezzana.

Fabbricati generalmente in argento, metallo meno costoso dell’oro erano alla portata della modesta ricchezza locale e facevano parte della dote e del corredo femminile.

Nel costume antico si usavano spilloni in argento massiccio, che col tempo vennero sostituiti con spilli e decori in filigrana d’argento, caratterizzati da una tale finezza, che li rendeva unici nel loro genere.

Più tardi gli artigiani si specializzarono nella produzione dei più svariati oggetti: dalle cornici ai piatti, dai portauovo alle scatolette porta medicine.

L’affermarsi della industria turistica, causò un brusco crollo di questa attività, di tutto quel gran sistema che faceva di Cortina un grosso centro di produzione orafa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, della Scuola di Filigrana e di tutti quei piccoli laboratori di filigranisti, oggi non rimangono che pochi ricordi e un unico artigiano che si adopera secondo l’antica tradizione.

Eppure, in questo continuo evolversi, non possiamo dimenticare un fattore umano molto importante per la sua forza evocativa e non solo: la memoria.

La memoria può sorprendere, regalando magari un’immagine dimenticata; la memoria lega il passato al presente, e può essere risvegliata da un semplice gesto, un oggetto, un segno.

Ferro Battuto

L’arte del fabbro ferraio è praticata da secoli. Il fabbro era considerato un artefice, un creatore un personaggio popolare e si collocava in una posizione importante all’interno della comunità.
Oggi può sembrare strano parlare di artigiani che lavorano il ferro con metodi e mezzi antichi. In una società dove tutto è prodotto in velocità e in serie, ammirare un oggetto che ha richiesto giornate di lavoro, da l’impressione di essere fuori dal tempo.
Il singolo elemento solitamente un’asta di sezione rotonda, quadrata o rettangolare, è forgiata a caldo e battuta col martello sull’incudine dal fabbro, fino ad ottenere l’elemento voluto. In tal caso è enfatizzata la lavorazione di battitura piuttosto che la composizione del materiale, che comunque di norma è piuttosto ben modellabile. Il ferro battuto può assumere varie forme, dalla più semplice come una lancia, una foglia, un torciglione, alle più elaborate come un ramo di edera, una rosa, ricci e volute varie.
L’arte del fabbro realizza un’idea o concretizza il desiderio di un cliente per possedere poi un oggetto originale, unico, esclusivamente proprio.
L’oggetto unico dell’artigiano è un qualcosa che possiede capacità di comunicare, di ricordare, di emozionare. Un’opera d’arte diventa una proiezione dello spirito nel tempo che rimane vivo grazie al suo linguaggio materializzato.

Tar-kashi

Le origini del Tar-kashi vengono da lontano, dall’India Orientale e, a portare questa particolare lavorazione fu l’ingegnere inglese John G.J. Coddington, presidente dell’Oriental Club che, a seguito di un viaggio a Mainpuri, rimase particolarmente impressionato dall’operato di un industriale, tale Sisso Dalbergis, specializzato proprio nel Tar-kashi. Questa parola che può suonare strana alla pronuncia altro non è che una particolare tecnica di lavorazione che consiste nella realizzazione di oggetti artistici di intarsio a fili di ottone battuti dentro nel legno di palissandro, una meraviglia alla vista e al tatto che innamorò Coddington a tal punto da volerla imparare per portarla in Italia. Fu così che, istruito l’allievo Giuseppe Lacedelli, nel luglio del 1881 venne introdotta nella Scuola d’Arte di Cortina d’Ampezzo come insegnamento creando un nuovo filone artistico ed estetico di grande successo.

Gli oggetti artigianali della Valle d’Ampezzo sono vere opere d’arte, a spiccare è quella particolare lavorazione d’intarsio, un lavoro certosino che richiede intere giornate di pazienza in quanto tutto è fatto a mano: si inizia dal legno, tagliato nelle forma e nella dimensione voluta, su cui viene riportato il disegno geometrico o ancora ornamentale realizzato a mano oppure per ricalco a mezzo di apposita carta e con scalpelli, sgorbie etc. Si procede poi con un taglio o un canale della profondità di mm 1,5 al cui interno si introduce un filo o un nastrino di ottone, rame, argento o altro metallo che, unito a frammenti di madreperla e avorio, porta alla luce effetti figurativi e cromatici di grande impatto pronti a decorare cofanetti, mobili, carillon, cornici, arredi sacri etc.

Piatti Tipici

L’identità ampezzana si percepisce anche attraverso la preparazione di cibi quotidiani o di quelli più prelibati offerti in occasione delle feste di famiglia.

Le ricette esprimono e valorizzano una cucina povera, ma genuina, fatta con pochi ingredienti. Quei pochi offerti dalla nostra terra e gelosamente custoditi nelle nostre case come si faceva da molti decenni. Il sapore di un frutto e la fragranza di profumi che al giorno d’oggi non si sentono più.

Piatti che sono diventati famosi nel mondo: dai più noti come i Casunziei a quelli meno noti come il Broéto.

Piatti ormai dimenticati come i Rije da làte e contorni come i Pestorte a r’anpezana.

I dolci che si possono assaporare durante le feste o le sagre di paese: Brazolà, Nìghele e Fartàìes e le bevande da sorseggiare come il Té di ciarié o la Snòpes de jàjenes.

Anche questo, fa parte delle tradizioni che la nostra associazione cerca di tramandare. Per non dimenticare come, con pochi ingredienti, si riuscisse a portare in tavola sempre qualcosa di diverso e speciale.