Le popolazioni alpine furono romanizzate circa 200 anni dopo quelle della pianura padana e del Veneto. I romani al contrario di altri conquistatori non imposero la propria lingua e le proprie tradizioni, cosicchè le popolazioni locali impararono il latino più per necessità che per obbligo non dimenticando però la loro lingua madre che quindi convisse parallela a quella ufficiale. Per questo nacquero gli idiomi spagnoli, catalani, provenzali, sardi e romeni ma anche i retroromani e appunto i ladini.
Un latino quindi molto più semplice nelle grammatica, con pronunce diverse e parole dialettali rimase isolato fra i monti senza subire influssi di centri culturali italiani, tutte le genti erano più o meno celtizzate e impararono il latino volgare più o meno allo stesso modo, cosicchè alla fine dell’Impero Romano in quella vasta zona delle Alpi dal Lago di Costanza a Salisburgo e Klagenfurt, dal San Gottardo al Trentino fino a Trieste si parlava una lingua con proprie caratteristiche, la lingua protoladina
Gli idiomi ladini non derivano affatto dall’italiano ma sono la continuazione diretta del volgare parlato nelle Alpi alla fine dell’Impero Romano. La lingua quindi continuò a evolversi nel corso dei secoli fino ad assumere le forme attuali come l’ampezzano.
Le persone che possono essere considerate ladine in Anpezo sono all’incirca un po’ meno della metà dei residenti effettivi. Ci sono Ampezzani che non lo parlano, altri che non si sentono Ampezzani anche se lo sono. “Stranieri” che si sono integrati e che anche se non sono ufficialmente ampezzani ne favoriscono lo studio e la divulgazione. Ma quel che è certo che siamo in pochi. Così pochi che nel 2014 è stata presentata la domanda perché il ladino diventi patrimonio immateriale da tutelare dell’UNESCO.