Referendum

Sono già passati più di 10 anni dal referendum che confermò la volontà dei tre comuni ladini bellunesi di ritornare in Alto Adige e di riunirsi con gli altri ladini sotto un’unica Regione. Molti hanno però visto questo atto di democrazia sotto un aspetto puramente economico e il perdurare della crisi economica ha fatto il resto. In men che non si dica, negli anni successivi in provincia di Belluno si sono svolte innumerevoli iniziative referendarie con esiti alterni. La provincia di Belluno come tutti sanno oltre che ad essere estremamente vasta e poco popolata, confina con due regioni a Statuto Autonomo e questa disparità di gestione delle proprie risorse crea malcontento.

L’obbiettivo dell’Ulda non è una riunificazione a scopi economici ma culturali ed è questa la differenza sostanziale espressa nel 2007.

La negazione di ogni particolarità ladina all’interno della Regione Veneto spinse i tre comuni a chiedere reiteratamente il passaggio alla provincia di Bolzano nel 1947, 1964, 1973, 1974 e 1991. Le ragioni di tale richiesta rimanevano esclusivamente storiche, linguistiche e culturali, mai economiche (ancora negli anni 1970 la provincia di Bolzano a prevalenza agricola era molto più povera del Veneto industrializzato).

Il “referendum ladino” è rivolto alla riunificazione dei Ladini in un’unica amministrazione provinciale (quella di Bolzano) per garantirne la mera sopravvivenza.

Senza adeguate norme di tutela, i ca. 4.500 Ladini storici della provincia di Belluno (da non confondere con i ca. 50.000 “neo-ladini” del Cadore e dell’Agordino, che hanno strumentalizzato l’aggettivo “ladino” per i propri interessi, spesso in opposizione diametrale ai Ladini storici) si estingueranno in poche generazioni.

Anche passando alla provincia di Bolzano, i tre comuni resterebbero in Italia e non sarebbero sottratti perciò territori o fondi alla Repubblica, cambierebbe soltanto il modo di amministrarli (a livello locale vs. centrale).

Non si nega assolutamente al Veneto e alle altre regioni italiane il diritto ad una autonomia fiscale o ad altri interventi legislativi, però tali misure, in quanto economiche e non storico- linguistico e culturali, non risolvono il problema di fondo, che è quello dell’unità e della sopravvivenza dei Ladini delle 5 vallate del Sella.

Su proposta dell’assessore Mussner dal 2014 in seno all’Euregio c’è un rappresentante dei Ladini, con l’obiettivo di dare una specifica rappresentanza ai tre Comuni.

La mozione presentata da Mussner era stata votata all’unanimità del Gect, ovvero il Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale, costituito dalle due Province a statuto speciale di Bolzano e di Trento nonché dal Land Tirol, membro della confederazione austriaca. Così come unanime era stato il voto dei consigli comunali dei tre comuni ladini ex tirolesi alla delibera per la nomina ufficiale del dott. Luca Agostini.

Ampezzanità

La Difesa dell'Ampezzanità

Perché vengono a Cortina così tanti turisti? Perché vi trovano qualcosa di diverso, di unico. Senza crode distintive, senza le viles sparse armoniosamente fra i prati, senza il campanile con un paesaggio sciatto e qualunque il paese attirerebbe ben pochi. Così senza la sua parlata singolare e la sua cultura particolare, un ampezzano non si distinguerebbe più da milioni di altri individui e non farebbe che impoverirsi, non avendo più nulla di suo.

Per una vita interiore equilibrata l’uomo ha bisogno di radici profonde, di vedere i suoi monti, di calcare la sua terra, di abitare non nella stanza squallida di un casermone, ma nella sua stua con oggetti e ricordi personali; ha bisogno di vivere non come un nessuno fra una massa anonima, ma di sentirsi qualcuno fra la sua gente., con la quale può parlare non con vocaboli generalizzati e piatti, ma con le espressioni apprese dal labbro materno., che vanno diritte al cuore.

Ci troviamo di fronte alla minaccia della estinzione della nostra lingua e cultura, alla perdita della nostra identità personale. Alcuni giovani ampezzani non solo restano indifferenti di fronte a tale minaccia, ma pensano addirittura che non valga la pena impegnarsi per difendere l’ampezzanità e tacciano di fanatismo e di nostalgia chi si da da fare per salvarla.

Secondo me è giusto, anzi necessario, aprirsi al mondo, ad altre lingue e culture; ma è pure nostro dovere conservare l’eredità tramandataci attraverso i secoli.

Come è riprovevole sprecare i risparmi dei genitori, vendere la terra bagnata dal sudore dei suoi antenati e la casa paterna, così è biasimevole disfarsi della lingua e della virtù degli avi; conservare il proprio patrimonio non è ne fanatismo ne nostalgia.

Se ci si rende colpevoli distruggendo un’opera d’arte, una specie rara si animali o di fiori, lasciando morire un ferito, ci si addossa una grave responsabilità anche lasciando estinguere la parlata di Ampezzo, che è un’opera d’arte viva, creata da una comunità singolare; essendo unica al mondo, la perdita sarebbe irrimediabile. Abbandonare la madrelingua equivale a compiere un suicidio culturale rinnegando la propria gente, perdendo la propria identità caratteristica.

Bisogna perciò che la madrelingua, un valore inestimabile, venga insegnata correttamente all’asilo ed a scuola, usata in chiesa, in Comune e negli uffici pubblici, scritta sui documenti, sugli avvisi, sui giornali, sui cartelli stradali, parlata alla radio, alla televisione, nelle riunioni e ovunque , altrimenti sembra inutile, viene disprezzata e dimenticata.

Trasmettere la lingua ai figli è principalmente compito della donna. Fintanto ché una madre parlerà al suo pargoletto in ampezzano, l’antico armonioso linguaggio del paese non si perderà.